UAS e LiDAR per l’analisi e la ricostruzione dei contesti archeologici sotto vegetazione
Lo studio di strutture architettoniche sommerse, nascoste all’occhio umano dalla sedimentazione e stratificazione di altri interventi antropici e naturali è ora possibile grazie al know-how e alle strumentazioni del CNR ISPC in ambito di remote sensing.
I sensori LiDAR, acronimo di Laser Imaging Detection and Ranging, sono sensori attivi entrati a pieno titolo nel pantheon degli strumenti fondamentali utilizzati nelle attività di Remote Sensing da UAS (Unmanned Aerial System), sistemi aerei senza equipaggio, per la scoperta ed il monitoraggio del patrimonio naturale e culturale.
Un LiDAR, utilizzato da UAS o da aereo, grazie ad impulsi laser, consente agli archeologi di penetrare la vegetazione (alberi e sottobosco) presente nell’area indagata e ricavare un dato tridimensionale dell’andamento del suolo e di eventuali strutture, o micro-rilievi da esse create, presenti al di sotto della vegetazione stessa.
Differenti tecniche e strumentazioni scientifiche sono state impiegate presso il sito d’altura della collina di Altanum-Sant’Eusebio, nel borgo di San Giorgio Morgeto a Reggio Calabria, in occasione della prima campagna di rilievo del progetto PhoLidAlta – Photogrammetry Lidar Altanum, tra i progetti che hanno ottenuto l’accesso gratuito ai laboratori mobili MOLAB del nodo italiano dell’Infrastruttura di ricerca europea per l’Heritage Science, E-RIHS.it, coordinato da Costanza Miliani, direttrice del CNR ISPC.
A causa dell’alta e densa vegetazione, la normale attività di Remote Sensing, o telerilevamento, con droni dotati di camere ottiche, foto aeree, e satelliti non poteva fornire dati utili. Tramite l’impiego di UAS equipaggiato con LiDAR è stato, invece, possibile ottenere un rilievo di centrale importanza nell’identificazione e nella comprensione delle strutture di interesse archeologico.
L’attività in campo è durata diversi giorni e ha permesso di acquisire un gran numero di dati diversi e in parte complementari, con il fine di avere una documentazione quanto più esaustiva e completa possibile.
L’impiego del LiDAR su siti archeologici coperti da vegetazione, come quello indagato nel Parco Nazionale dell’Aspromonte, ha rappresentato un grande valore aggiunto per l’acquisizione di informazioni altrimenti impossibili da ottenere, permettendo di mappare una porzione di territorio di oltre 65 ettari nell’arco di pochi giorni. I dati LiDAR, elaborati con i moderni software di estrazione e classificazione per la rimozione della vegetazione, hanno permesso agli studiosi e agli archeologi coinvolti nel progetto di mappare una gran quantità di strutture invisibili tramite altri sistemi di indagine.
Le fasi di processamento sono state diverse, tutte volte a massimizzare la visibilità degli elementi di interesse archeologico e topografico. Infatti, appena acquisito, il dato LiDAR risulta estremamente complesso da comprendere poiché la nuvola di punti tridimensionale, generata dal fascio laser dello strumento, incorpora tutti gli elementi della scena registrata, come, ad esempio, suolo, vegetazione, costruzioni, etc.
La prima parte del processamento dei dati ha previsto, quindi, la classificazione dei punti relativi al suolo (denominati ‘ground’), rispetto a quelli di vegetazione (alta e bassa), costruzioni e rumore, per ottenere un modello digitale del terreno (DTM) quanto più accurato possibile. A questa, è poi succeduta una fase di miglioramento della visibilità degli elementi di interesse archeologico, tramite una serie di operazioni volte a simulare l’interazione tra la luce solare ed il DTM, così da evidenziare concavità e convessità spesso formate da strutture o elementi sepolti.
Le indagini, coordinate sul campo dai provider E-RIHS Andrea Angelini, Daniele Ferdani e Nicola Masini del CNR ISPC, sono state avviate grazie alla collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Reggio Calabria e provincia di Vibo Valentia.
Le attività LiDAR sono state frutto dell’impegno di un gruppo di ricerca interdisciplinare del CNR ISPC composto, oltre che dai coordinatori della campagna di analisi, da Nicodemo Abate, Valentino Vitale, Antonio Minervino Amodio, Diego Ronchi e Francesco Giuri.