Il dio che separò la Sicilia dal continente

Ieri come oggi, dal racconto omerico di Scilla e Cariddi alla plurisecolare questione del ponte, ora tornata al centro del dibattito nel Paese, la transitabilità dello Stretto di Messina è causa di ansie, diatribe e nascita di dicerie, leggende, miti.

Gli antichi credevano che la Sicilia fosse in origine unita alla Calabria, e lo Stretto si fosse formato solo in un secondo momento in seguito all’erosione marina o per l’effetto di terremoti. Tuttavia, è facile credere che un evento di tale portata risultasse comprensibile ai più solo se ricondotto ad una volontà al di sopra dell’umano.

Quale dio volle che la Sicilia fosse un’isola?

Lo storico Olimpiodoro di Tebe ricorda un episodio legato alla vita di Alarico, re dei Visigoti. Dopo il celebre sacco di Roma del 410 d.C., il re abbandonò la città portando con sé come ostaggio Galla Placidia, sorellastra dell’imperatore Onorio. Alarico e il suo esercito scesero lungo la penisola per fermarsi a Reggio: l’intenzione era quella di passare in Sicilia, ma una statua sacra eretta sulla costa opposta si levò a impedire la traversata: la flotta allestita dai Visigoti fu distrutta da una tempesta e Alarico tornò sui suoi passi per ammalarsi e morire nei pressi di Cosenza.

Olimpiodoro afferma che la statua aveva il potere di scongiurare il fuoco dell’Etna e di impedire ai barbari il passaggio dello Stretto, ma non aggiunge nulla sull’identità e sull’aspetto del dio in essa raffigurato. Sappiamo soltanto che anni dopo la cristiana Galla Placidia, memore dell’inquietante potere della statua pagana, ordinò che fosse distrutta.

L’archeologia ha tuttavia consentito di restituire un nome alla magica statua.

Un piccolo santuario pagano di Siracusa, di età tardo-ellenistica, che in seguito sarebbe stato inglobato nella catacomba di Santa Lucia, conserva in una nicchia un dipinto di arte popolare con l’unica certa rappresentazione dello Stretto di Messina nell’antichità. A togliere ogni dubbio sull’identificazione del luogo su una parete della nicchia compare la personificazione stessa dello Stretto, una figura maschile semisdraiata che un’iscrizione indica, in greco, con il nome Porthmos (= lo Stretto, appunto); al centro, invece, dietro un muro fortificato, appare la grande statua di Zeus Peloros (= prodigioso, gigantesco), così nominato da una seconda iscrizione. Si tratta chiaramente di una rappresentazione di Capo Peloro, il lembo della Sicilia più vicino alla terraferma, come doveva apparire dal mare a chi traghettava verso l’isola.

Purtroppo, nessuna fonte letteraria ricorda il nome o una storia relativa allo Zeus Peloros siciliano.

Una leggenda greca legata ad una festa in onore di Zeus Pelorios narra che in Tessaglia ci fosse un tempo un bacino lacustre le cui acque, in seguito ad un terremoto che provocò la frattura della valle di Tempe, sarebbero defluite lasciando spazio ad una regione ampia e fertilissima. In segno di ringraziamento sarebbe stata così istituita la celebre festa dei Peloria dedicata, appunto, a Zeus. Così lo Zeus Peloros guardiano dello Stretto di Messina potrebbe essere un doppione del dio legato alla leggenda tessala, sulla base di un rovesciamento simmetrico degli effetti sismici: acqua dove prima era terra fra Sicilia e Calabria e terra dove prima era acqua in Tessaglia. La grande statua di Zeus Peloros posta a guardia dello Stretto, prima ancora che la sensibilità tardo antica le attribuisse i poteri magici di cui si è detto, doveva ricordare a chi approdava a Capo Peloro la primordiale divisione voluta dal padre degli dei, che ha dato forma alla Sicilia facendone un’isola per sempre.

Per maggiori dettagli

F. Caruso, Zeus Peloros e gli altri: un nuovo sguardo ai dipinti del “sacello pagano” nella catacomba di Santa Lucia a Siracusa, in E.C. Portale, G. Galioto (eds.), Scienza e archeologia. Un efficace connubio per la divulgazione della cultura scientifica, Pisa 2007, 31-42.

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